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  • La presentazione dello studio di Itinerari preivdenziali

17/05/2017 ITINERARI PREVIDENZIALI: IL SUD PALLA AL PIEDE DEL WELFARE

Nel 2015 il bilancio Inps ha registrato un aumento rispetto ai due anni precedenti, sia dal lato delle entrate contributive, sia da quello delle uscite per prestazioni. L’incremento è risultato più sostenuto sul fronte delle entrate, con conseguente miglioramento del saldo complessivo, che tuttavia resta negativo soprattutto nelle regioni del Sud. Questo è quanto emerge dal sesto Rapporto “La regionalizzazione del bilancio previdenziale” redatto dal Centro studi e ricerche di Itinerari Previdenziali e presentato alla Camera dei Deputati da Alberto Brambilla (nella foto un momento dell'incontro). Lo studio fornisce un quadro del nostro sistema pensionistico per singola Regione, offrendo  utili spunti per una corretta comprensione del tema “pensioni e assistenza”.

Il documento analizza i bilanci Inps per il periodo dal 1980 al 2015, quelli delle Casse privatizzate dei liberi professionisti (dal 1999 per alcune e dal 2001 per altre). Mentre restano esclusi quelli delle gestioni ex Inpdap (pubblici dipendenti), per i quali sono state realizzate stime per l’incidenza dei saldi previdenziali sul debito pubblico. Il processo di regionalizzazione è stato realizzato tramite l’analisi dei flussi di cassa, ossia contabilizzando le entrate contributive per luogo di lavoro e le uscite per prestazioni per luogo di residenza del beneficiario.  Se questi risultati di bilancio vengono  comparati con i livelli di evasione fiscale e i residui fiscali, sottolinea Brambilla, impongono ai policy maker e al paese di prendere coscienza di questa situazione persistente, che va analizzata con chiarezza senza alcun intento persecutorio o peggio ancora ideologico”, ma solo per cercare qualche risposta e soluzione a quello che si può definire “il problema”.  In altri termini, se il Sud assorbe tutti i “residui fiscali” delle regioni del Centro e del Nord, a breve la situazione nazionale diverrà insostenibile. Visto che ormai il tempo dei “tassi zero” di cui l’Italia beneficia a piene mani sta per finire.

La regionalizzazione del bilancioNel 2015, come accennato, il bilancio Inps ha registrato un aumento rispetto ai due anni precedenti, sia dal lato delle entrate contributive sia da quello delle uscite per prestazioni: qui il dettaglio per macro aree. Il totale delle entrate contributive ammonta a 134,823 miliardi, di cui il 63,54% (85,67 miliardi) proviene dalle otto regioni del Nord, il 20% dalle quattro regioni del Centro (26,99 miliardi) e il 16,44% (22,16 miliardi) dalle otto regioni del Sud. Le uscite per prestazioni sono pari a 176,947 miliardi, con il Nord che assorbe il 55,86% del totale (98,83 miliardi) contro il 19,74% del Centro (34,93 miliardi e il 24,40% del Sud, che con 43,17 miliardi presenta uscite quasi doppie rispetto alle entrate. Il saldo tra entrate e uscite per il 2015 presenta un disavanzo complessivo pari a 42,124 miliardi. Il Sud assorbe il 49,89% del deficit (21 miliardi) contro il 18,86% del Centro (7,9 miliardi) e il 31,25% del Nord (13,16 miliardi). Il Trentino è l’unica regione con un attivo di bilancio (più 200 milioni).

Le regioni che presentano deficit pesanti sono Piemonte, Sicilia, Puglia, Campania, Toscana, Calabria e Liguria. Calcolando il saldo pro-capite in rapporto alla popolazione, lo Stato, per il solo sistema pensionistico, trasferisce a ogni abitante del Sud oltre 1.000 euro l’anno contro i 658 del Centro e i 474 del Nord.  In merito ai tassi di copertura, che esprimono in che percentuale i contributi versati da ogni singola regione coprono le uscite per prestazioni, a livello nazionale il tasso si attesta al 76,19%; al Nord si registra una copertura media dell’86,68%, il Centro segna un 77,25% medio mentre il Sud si attesta sul 51,33%. L’unica regione con un valore positivo è il Trentino con 106,61% (cioè a fronte di 100 euro di prestazioni ne versa 106,61 di contributi); seguono Lombardia con il 97,11% e Veneto con il 95,33%; Lazio ed Emilia Romagna si attestano attorno all’87%, mentre tutte le altre regioni stanno sotto il 75%.

L’andamento nel lungo periodo. Nel periodo esaminato dal Rapporto  (36 anni, dal 1980 al 2015) sia la distribuzione percentuale delle entrate e uscite a livello regionale, sia l’incidenza delle stesse sul Pil evidenziano una situazione di lieve riequilibrio Nord–Sud, ma con variazioni di non rilevante entità e con una prevalenza delle uscite rispetto alle entrate.  Di particolare interesse sono i tassi di copertura: a livello nazionale, per ogni cento euro di prestazioni le contribuzioni passano dagli 84 euro medi incassati nel triennio 1980-1982 ai 72,83 euro medi, nel triennio 2001-2003, per arrivare ai 76,19 del 2015.

Analizzando il dato per macro aree, si rileva che il Nord perde oltre otto punti percentuali passando dal 94,9% del 1981 all’86,7% del 2015, trascinato dalle regioni che risentono della maturazione di pensioni con nastri contributivi di 35 e più anni e della crisi industriale in Piemonte e Liguria (mai sopra il livello minimo di copertura del 75%). Anche il Centro perde quasi sette punti (77,25%): insieme al Nord, risente maggiormente del Sud dell’invecchiamento della popolazione (peggiorano in particolare Lazio, Umbria e Toscana), mentre il Sud aumenta la copertura delle prestazioni per oltre cinque punti arrivando al 51,3% per l’effetto combinato dell’aumento delle entrate e della riduzione delle uscite. Migliorano tutte le regioni meridionali  a eccezione della Campania, che è partita da un tasso di copertura pari a 61,8% nel 1981 per arrivare al 57,6% nel 2015.

Il ruolo del Fisco. Come si è visto, esiste una correlazione diretta tra deficit regionali e tipologia delle prestazioni. Se tale correlazione spiega i disavanzi previdenziali dal lato delle uscite, per completare l’analisi occorre verificare anche la correlazione tra bassi livelli contributivi, le entrate, e il livello di evasione fiscale che ovviamente si riflette su quella contributiva. Per farlo, il Rapporto ha fatto la media di differenti analisi, adottando lo studio di “Scenari Economici” che ha calcolato il peso dell’economia sommersa sul Pil, sulla base del quale si può affermare che l’Italia ha un sommerso maggiore rispetto alla media Europea (17% contro 14,5% senza includere le attività criminali), ma la distribuzione nel Paese è molto differenziata. Il Nord si posiziona al di sotto della media europea (13,2%), con la Lombardia addirittura perfettamente in linea con la Francia e la Germania (circa il 10%), mentre nel Mezzogiorno il sommerso pesa circa il doppio della media europea rispetto al Pil (26,9%).

L’evidenza indica che il sommerso prevale nelle regioni che mostrano i maggiori disavanzi previdenziali e complessivi, dovuti proprio alla carenza di versamenti contributivi e fiscali, giacché la quota legata alle attività sommerse e criminali non produce contributi ma assorbe prestazioni in larga misura. Esaminando, infine, i “residui fiscali” regionalizzati, ossia la differenza tra entrate fiscali e contributive e spese complessive, emerge che il Nord presenta un residuo fiscale attivo per quasi 94 miliardi di euro, l’Italia centrale di 8 miliardi e il Mezzogiorno un passivo di 63. Pro-capite significa che il Nord ha un residuo attivo di quasi 3.500 euro pro-capite, l’Italia centrale di 700 e il Mezzogiorno un passivo di oltre 3.000 euro a testa. E’ come dire che ogni cittadino del Nord, neonati inclusi, oltre le tasse e i contributi, versa ulteriori 3.500 euro a ogni cittadino del Sud. Insomma, le regioni con un residuo fiscale negativo sono le stesse che registrano un disavanzo previdenziale e complessivo maggiore.

Conclusioni. Il rapporto si conclude, come in passato, con l’auspicio che vengano presto varate anche in modo bipartisan politiche economiche che mirino, nell’arco di un decennio, a far sì che tutte le regioni italiane siano autosufficienti almeno al 75%, lasciando il finanziamento dell’altro quarto di spesa a un fondo di solidarietà nazionale. 

www.itinerariprevidenziali.it